Cominciamo definendo il patto di prova come accessorio al contratto di lavoro subordinato in virtù del quale le parti concordano di sperimentare per determinato periodo la reciproca convenienza alla prosecuzione del rapporto lavorativo. Infatti, nel corso della prova il datore di lavoro può verificare l'attitudine e le competenze del lavoratore, il quale, d'altra parte, può valutare l'ambiente e le condizioni lavorative. Il patto di prova:

  • deve risultare da atto scritto
  • non può superare la durata massima consentita
  • deve contenere la specifica indicazione delle mansioni
Durata del periodo di prova

L'articolo 7 comma 1 del D.Lgs. n. 104/2022 stabilisce che la durata massima del periodo di prova non può essere superiore a 6 mesi. I contratti collettivi possono prevedere un termine inferiore.

Il comma 2 dell’articolo 7 specifica che per il contratto a tempo determinato il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto stesso ed alle mansioni in relazione alla natura dell’impiego.

Possono verificarsi eventi che comportano una sospensione del periodo di prova; quindi “il periodo di prova è prolungato in misura corrispondente alla durata dell’assenza” (comma 3 articolo 7). Il riferimento è all’assenza per malattia, infortunio, congedo di maternità o paternità obbligatori. Tuttavia, il Ministero del Lavoro (Circ. n. 19 del 2022) ha ritenuto che la sospensione della prova possa conseguire alle altre ipotesi di assenza previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva (per es. i congedi e i permessi ex Legge n. 104/1992)

La norma è in linea con il principio di effettività del periodo di prova, affermato in giurisprudenza, secondo cui il decorso della prova va escluso nei giorni in cui la prestazione non è stata eseguita per eventi imprevedibili, poiché in tali giorni non può aver luogo la sperimentazione reciproca, che rappresenta, come detto, la funzione del patto di prova (Cass. 4347/2015; Cass. 40404/2021).

Recesso durante la prova

Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità (art. 2096 c.c.). Il recesso nel corso o al termine del periodo di prova ha natura discrezionale e non deve essere motivato. Quindi, in caso di impugnazione il lavoratore dovrà dimostrare:

  • il positivo superamento del periodo di prova
  • che il recesso sia stato determinato da un motivo illecito, quindi estraneo alla funzione del patto di prova (Cass. n. 1180/2017; Cass. n. 23927/2020).

Tuttavia, resta fermo che il datore di lavoro è tenuto a consentire l’esperimento che forma oggetto del patto di prova (art. 2096 c.c.). Da tale obbligo deriva “un limite alla discrezionalità dell’imprenditore, nel senso che la legittimità del licenziamento da lui intimato durante il periodo di prova può efficacemente essere contestata dal lavoratore quando risulti che non è stata consentita, per la inadeguatezza della durata dell’esperimento o per altri motivi, quella verifica del suo comportamento e delle sue qualità professionali alle quali il patto di prova è preordinato” (Corte Cost. n. 189/1980; Cass. n. 31159/2018). È, quindi, ritenuto illegittimo il recesso per inadeguata durata della prova ovvero quando il periodo di prova sia stato così breve da non permettere di verificare le competenze del lavoratore.

Indicazione delle mansioni oggetto di prova

Il patto di prova deve specificare le mansioni, poiché ciò garantisce il corretto espletamento della prova e la verifica del rispetto dell'obbligo di correttezza in ipotesi di recesso per mancato superamento della prova stessa. Infatti, la possibilità per il lavoratore di impegnarsi secondo un programma prestabilito e la facoltà del datore di esprimere la propria valutazione sull’esito della prova presuppongono che questa debba effettuarsi in relazione a compiti identificati fin dall’inizio (Cass. n. 6552/2023). È comunque possibile soddisfare tale requisito mediante il richiamo della declaratoria del contratto collettivo purché il richiamo sia sufficientemente specifico (Cass. n. 1099/2022).

Successione di patti di prova fra le stesse parti

Sulla reiterazione del periodo di prova ai sensi dell’art. 7, comma 2 del d.lgs. n. 104/2022, “In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova”. In effetti, considerata la ratio del patto di prova (v. sopra) non sono possibili più patti di prova tra le stesse parti in relazione alle stesse mansioni, in quanto con all’esito del primo periodo di prova le parti hanno già potuto valutare la reciproca convenienza.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ammesso la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti aventi ad oggetto le medesime mansioni nel caso in cui sopraggiungano fattori attinenti, per esempio, alle condizioni soggettive del lavoratore (abitudini di vita o problemi di salute) o al contesto di svolgimento del lavoro. Così nel caso del lavoratore che aveva svolto per brevi periodi l’attività di portalettere in un paesino in provincia di Lecce e successivamente era stato assunto nuovamente in prova per svolgere le medesime mansioni a Milano. L’ammissibilità del secondo patto di prova era giustificata dalla breve durata del precedente rapporto lavorativo e dalla nuova sede di lavoro (Cass. n. 28252/2018).


L'Avv. Giuseppe Caristena si distingue per la sua profonda conoscenza del diritto del lavoro, offrendo consulenza ed assistenza di alto livello a tutela dei diritti dei lavoratori e dei datori di lavoro.